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Partire dal “sentire” il bisogno di libertà personale, nel corpo e nella mente

Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Non è tanto “cosa si fa” ma “come lo si fa”, a qualificare il grado di libertà di una persona o di una situazione. Per un pescatore che ama il mare, il suo è lavoro e passione, duro e gratificante, uscire all’alba o alla notte è si faticoso fisicamente ma nutre lo spirito. La stessa persona, in una fabbrica con orari fissi, probabilmente vi morirebbe.

Lo stesso vale per un agricoltore che ama persino sentire l’odore della terra e la annusa, a differenza di un agricoltore-industriale che non sa nemmeno dove sia la sua terra e la sostituirebbe con qualsiasi altro business in base a puri fattori di redditività.

La nostra vita privata, ogni nostro atto, può essere libero o meno in base a come lo interpretiamo. La rivoluzione sessuale del 1968 è stata soprattutto un cambiamento su come viene vissuto un rapporto, non tanto sul cosa si faccia.

Secondo Packard[1], lo psicologo Abraham Maslow, descrivendo i rapporti sessuali delle persone sane che vivono la vita a pieno, afferma che per loro gli incontri sessuali non sono solo un fattore di riproduzione della specie, o un obbligo familiare o religioso, un peccato. In pratica, non sono una questione affatto “grave” o “pesante”. Sono anche e soprattutto un gioco. Egli afferma che questa gente, soddisfatta nella vita sessuale, la vive in modo giocoso, sereno, allegro. In altre parole, la vive nella libertà.

 Quanta distanza dall’oscurantismo medioevale che sottoponeva a torture, al rogo o alla lapidazione chi pratica sesso. E non è finita, in certi luoghi dello spazio-tempo ancora il sesso è visto come il massimo dei peccati, il male dell’umanità. È davvero questo il male dell’umanità? Chi può essere così pazzo da pensarlo? O non è forse opera di un grandissimo impianto di “brainwashing” (lavaggio del cervello) su base sistematica?[2]

Eppure, alcune ideologie ci riescono. Ci riescono persino alcuni guru della formazione, della riprogrammazione mentale, e di tante discipline olistiche o esotiche che ti chiedono di “non fare troppe domande e credere, un giorno capirai, perchè ora, TU non puoi capire”[3].

Partire dal “sentire” il bisogno di libertà personale, nel corpo e nella mente

Allora riflettiamo.
La libertà è qualcosa che puoi veramente sentire
Puoi sentirla a livello mentale. 
La puoi sentire persino a livello fisico. È un fatto sensoriale, inseparabile da te.
La senti nel respiro, la senti nel corpo, la senti negli occhi e nel come ti alzi. 

La mancanza di libertà provoca un sentire altrettanto forte. Il senso di oppressione, il respiro bloccato, gli occhi che cercano luce senza trovarla.
La libertà è la capacità di incidere sul nostro destino. E di crederci. E agire di conseguenza.

A volte la mancanza di libertà invece si zittisce, c’è, ma non la senti più. Un rantolo, come un rumore sordo, ti gira dentro, ti consuma l’anima e la vita, ma non te ne accorgi finché non fa male, davvero male. Allora, cominci a cercarla.

La libertà coincide in larga misura con uno stato profondo di autorealizzazione, è la vera realizzazione del proprio Sè. Allora, libertà diventa lasciarsi essere.
Non è uno stato solo fisico, ma soprattutto mentale, esistenziale. E’ una questione legata al come vivi, più che al cosa possiedi.

La ricerca della libertà è il percorso di un’intera vita. Per alcuni è una ricerca continua che diventa “stile di vita”, e dà senso al vivere stesso. Per altri è solo utopia, un sogno talmente soffocato che viene oramai considerato impossibile, il sogno di un bambino ci vive dentro, e la nostra anima ha bisogno di ascoltarlo.

Quando smettiamo di ascoltare, quando questa amputazione succede, la libertà non viene nemmeno più cercata. Si accetta la non-libertà senza lottare per essa. Si muore da vivi e si vive da morti.

I percorsi di crescita personale sono viaggi nella ricerca della libertà, stimoli per  vite vissute nel pieno delle proprie energie. Stimoli a vivere nelle energie più belle.
E, non bastasse, il più lontano possibile da castrazioni e amputazioni. 
I sogni e progetti di cui siamo portatori possono spegnersi o ardere in base a come li sapremo alimentare e nutrire, ogni giorno.

Molti dicono “libertà è fare ciò che ci piace”, ma è oramai assoldato che ciò che ci piace è frutto di un programma di addestramento cui siamo stati sottoposti dalla nascita. E non sempre quel programma era buono o è tuttora buono.

Dal primo respiro in avanti, siamo esseri che abitano in un Acquario Comunicativo, e vivono di una Dieta Comunicazionale non scelta, almeno non nei primi anni. Chi ci ha voluto bene ci ha provato, ma non è stato facile nemmeno per loro, per cui non lanciamo colpe e anatemi, e guardiamo a ciò che noi, qui ed ora, possiamo invece fare.

Nella vita adulta la nostra dieta comunicazionale apparentemente si fa più libera, più auto-determinata, ma ancora non abbastanza.
Siamo frutto di un Copione di Vita assorbito da società, scuola, genitori, amici, conoscenti, tv, libri e ogni sorta di fonte, e non è detto che sia veramente nostro. 

Diventa una nuova Missione, cercare il nostro vero Copione di vita più autentico, imparare la “disattivazione dei Copioni di Vita” che ci girano dentro e si camuffano per far finta di essere “nostri”. Farlo, è arte e tecnica.

Quali insegnamenti abbiamo avuto rispetto alla libertà? Come questi hanno plasmato la nostra psicologia individuale? Di cosa siamo consapevoli e di cosa ancora no? E come raggiungere questa consapevolezza? Da soli, lo anticipo, è molto difficile. Con il supporto di azioni serie di coaching, counseling, terapia, gruppi di studio e Scuole serie centrate sul Potenziale Umano, tutto cambia. Nel viaggio verso la libertà, non siamo più soli.

Il gioco è tutto tra espressione di sè e castrazione dei sogni. E noi vogliamo far vincere l’espressione di sè. Creare occasioni, creare spazi, creare luoghi fisici e psicologici dove questa sia possibile, anche sul lavoro come nella vita privata.

Un lavoro sulla psicologia della libertà è anche un lavoro sulla psicologia interiore e sulla purificazione da apprendimenti erronei che ci circolano dentro. 

Scoprire la nostra psicologia interiore e “come funzioniamo dentro” ci permette di scovare cosa ci sta allontanando da una vera libertà e da una vita libera. Per cui, si tratta di un progetto veramente rivoluzionario. 

È fondamentale capire che cercare la libertà non significa lavorare sulle psicopatologie, ma sulla cultura che ci circola dentro. Se senti una pulsione di libertà, non sei pazzo. Sei sanissimo.

Se cerchi di fare pulizia interiore e liberarti da castrazioni mentali assurde assimilate durante la tua vita, non sei malato, sei sanissimo. I malati sono quelli che non lo fanno, e accettano di morire in agonia spirituale, smettono di cercare aria pulita, accettano di vivere vite altrui senza rispettare se stessi e i propri bisogni più veri.

Libertà non è prendere mille aerei tanto per girare, ma ascoltare e rispettare i propri bisogni più autentici.

Libertà è scegliere e amare, sentirsi liberi. Spaziare con la fantasia. Libertà è anche trovare la calma e fermarsi senza bisogno di andare in alcun posto. Libertà è cercare un ostacolo o progetto di vita che altri non considerano degno di interesse, ma per noi vale la pena perché vi sentiamo il senso di vita pulsare. 

Libertà è anche libertà di fallire e non dover sempre riuscire.

Libertà di cambiare opinione sulle persone, sulle cose, sulle ideologie, in base ad una maturazione interiore o a nuove informazioni.
Libertà è scegliere le persone con cui passare il tempo senza costringersi a relazioni obbligate.

Libertà è quando ci rispettiamo. Libertà è quando facciamo rispettare i nostri valori più profondi a chi vuole relazionarsi con noi. È decidere di allontanarli da noi se non siamo compatibili, o qualcuno vuole costringerci a indossare maschere e ideologie che non ci appartengono.

Libertà è darsi la possibilità di avere momenti e brani di vita destrutturati, privi di orologio e di vincoli, di scadenze e orari.
Libertà è anche scegliere di entrare dentro alle proprie paure anziché respingerle sempre, scappare o negarle. 

Libertà è esplorare le nostre angosce per capire cosa c’è dentro e gradualmente liberarci da quelle false che scopriamo essere solo sovrastrutture. Alcune paure, come la paura di parlare in pubblico, ne sono un esempio lampante. Altre paure, come la paura del vuoto, contengono un seme di saggezza, mosse dal nostro istinto di sopravvivenza. Ma se guardiamo bene, la maggior parte delle nostre paure sono costruite. Sono soffocamenti evitabili. Sono paure introiettate. E su queste, si può fare molto, si deve fare molto. 

Perché la libertà non si vince al gioco. Si conquista, giorno dopo giorno.

Lo scenario che viviamo oggi è complesso, difficile, ma allo stesso tempo così ricco di possibilità, e un’occasione di incontro come il percorso olistico rappresenta una bella occasione per un nostro altro piccolo o grande passo verso la libertà. Farlo in compagnia, lo renderà ancora più bello. Cogliamola.


[1] Vance Packard. Il sesso selvaggio. Einaudi, Torino, 1970. P. 448. Tit. Orig. The Sexual Wilderness: The Contemporary Upheaval in Male-Female Relationship. New York, McKay, 1968.

[2] Taylor, Kathleen (2008). Brainwashing. La scienza del controllo del pensiero. Castelvecchi, Roma. Orig. Brainwashing. The Science of Thought Control. Oxford University Press.

[3] Taylor, Eldon, Mind Programming: From Persuasion and Brainwashing to Self-Help and Practical Metaphisics. Hay House Publisher, 2009.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Trainer in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Lo stato di flusso (flow) e le esperienze di flusso (flow experience)

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Lo stato di flusso (flow) è caratterizzato dal procedere di una azione o serie di azioni che “scorre liscia”, in cui tutto avviene perfettamente (non necessariamente senza ostacoli, ma spesso con ostacoli anche forti che vengono superati), in cui vi è la netta sensazione di controllo sugli eventi ed un senso di euforia e potenza accompagnato da una forte felicità interiore e benessere. 

La condizione che ne deriva è simile all’esperienza di qualcosa che scorre bene, un fluire (flow experience) che si deposita in memoria e al quale si può imparare ad attingere per migliorare se stessi, il proprio benessere e le prestazioni/esperienze future.

Lo stato di flusso non è una condizione puramente atletica o prestazionale, ma essenzialmente esistenziale.

Può entrare in ogni condizione di vita, negli elementi e momenti più vari, quali l’esperienza di leggere un libro o di vedere un tramonto o di conversare attorno ad un tavolo, sciare, giocare a calcio, combattere, meditare, o nell’insegnamento, o nel sesso. Ogni stato esistenziale può essere vissuto in condizione di flusso.

Lo stato di flow può essere sperimentato dagli atleti durante alcuni allenamenti (non in ogni momento, e non da tutti gli atleti). Può emergere anche nella vita di relazione, in un comunicatore durante un discorso (o docente durante una lezione), nel momento in cui senta che il pensiero fluisce con energia, l’espressività si sblocca, si apre un magnetismo speciale sulla platea e il pubblico lo segue intensamente. 

Ancora, può sperimentare lo stato di flusso una coppia, durante atti amorosi o momenti particolarmente romantici, o in atti sessuali vissuti come scambi di emozioni e non come prestazioni ginniche. Ancora, può sperimentare questo stato un terapeuta che riesca a stabilire una netta empatia con il cliente e a far emergere qualcosa di buono (scoperte, insights), durante la seduta.

In campo sportivo, osserviamo un brano è utile per analizzare come lo stato di flusso sia aiutato da rituali preparatori, e capire quanta “presenza mentale” sia raggiunta dall’atleta in questo stato. Si evidenzia inoltre la grande capacità di “contatto con se stessi”, di auto-percezione:

I Quadricipiti secondo Rühl. Esercizio n. 1: Squat.

Quando sento di essere riscaldato a fondo e sono ansioso di cominciare, vado dritto alla rastrelliera per gli squat, senza pensare ad altro che alla percezione di decine di chili sulla schiena e a contrarre i quadricipiti scendendo fino al pavimento, gonfiandoli fino a farli raddoppiare di volume. 

Mi assicuro sempre di controllare bene il movimento, di tenere la schiena dritta e gli addominali tesi. Non mi sbilancio mai in avanti né utilizzo la zona lombare come leva. Salendo e scendendo, spingo il carico sfruttando il perfetto asse di potenza che attraversa il centro del torace, il centro del bacino, il centro dei quadricipiti e il centro dei talloni. Nel primo set cerco di ottenere un forte bruciore muscolare, per assicurarmi di aver stimolato la zona giusta, eseguendo anche 30 ripetizioni se necessario.

Dopo aver allungato e strofinato i muscoli per eliminare in parte l’acido lattico, aggiungo un’altra piastra per lato e ricomincio daccapo, sempre in con una tecnica di esecuzione perfetta, per inondare i quadricipiti di sangue. Nel frattempo, Marc Arnold, mio amico di lunga data e training partner, continua ad urlarmi di rimanere dritto, di tenere i muscoli contratti, di pompare, di fare un’altra ripetizione. Se c’è qualcuno che riesce a darmi la spinta giusta, quello è Marc.

Ora il tempo e i numeri non esistono più. Continuo semplicemente ad aggiungere pesi e a contrarre i quadricipiti, scendendo molto, in modo da sentire la forza sempre più esplosiva nei muscoli interessati. Tra un set e l’altro, me la prendo comoda: non passo al set seguente se prima non riesco a percepire di nuovo i quadricipiti e a sentire che c’è ancora spazio per un nuovo afflusso di sangue. Seguo questo schema per almeno dieci set, spesso dodici, fino a raggiungere il cedimento dopo tre ripetizioni nell’ultimo set. A me piace allenarmi così[1].

“Ora il tempo e i numeri non esistono più”, sostiene il campione mondiale Rühl, e da quel momento inizia lo stato di flusso. 

Questa esperienza di perdita completa del senso del tempo e dello spazio, l’immersione totale nell’esperienza, assume tratti comuni e trasversali sia nelle attività sportive ad alto tasso di “passione e immersività” così come può prodursi in attività lavorative, o in attività creative (dipingere, suonare), sociali (stare assieme, conversare), sentimentali (sognare assieme). 

Può riguardare sia attività fisiche in rapido movimento che attività statiche quali l’ingresso in una meditazione profonda e ben riuscita, o attività di modesta entità fisica ma alta passionalità, quali una partita di carte.

Si può sperimentare lo stato di flusso durante la scrittura di un libro o di una lettera, o la stesura di un disegno, quando parole, segni ed idee sembrano uscire da sole senza sforzo. Al contrario, il blocco del flow viene vissuto come la “pagina bianca” (il vuoto da cui non si sa come muoversi) o una “pagina nera”, densa di ansia, di emozioni negative, in cui ogni gesto costa fatiche immense, e persino l’inizio sembra opera ciclopica.

Il flow può essere vissuto anche durante un momento di abbandono completo ad un massaggio, in cui il tempo sembra fermarsi. I pensieri estranei e le ruminazioni mentali che interferiscono con la concentrazione sull’atto, impediscono al flow di manifestarsi. Imparare a bloccarli per vivere a pieno le esperienze è difficile ma può essere appreso. E tutto questo è complicato dal fatto che non si tratta di un apprendimento che si ottiene una volta per tutte. Esso può sparire in determinate condizioni e rilasciare spazio al pensiero invasivo e alla ruminazione mentale che interferisce. 

Apprendere a generarlo anche in condizioni difficili è una vera conquista e un percorso umano sacro per il quale le culture occidentali sono decisamente impreparate. È quindi anche una sfida didattica e pedagogica per un’umanità migliore.

Lo stato di flusso è un “momento magico” che rappresenta più l’ecce­zio­ne che la norma. Vi sono persone che non hanno mai sperimentato lo stato di flusso in tutta una vita, altre che non lo vivono da almeno dieci anni, immersi fino al collo in problemi, in disagi esterni e auto-creati, o da uno stile di vita o approccio culturale/cognitivo sbagliato.

Trovare lo stato di flusso spesso, idealmente all’interno di ogni giornata e prestazione fisica o comunicativa, è l’obiettivo di una pratica energetica e professionale seria che non abbia l’unico scopo di “arrivare a sera in qualche modo”.

[1] Ruhl, M. (2002), Quadricipiti bestiali, Flex, giugno, n. 44, p. 78.

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Capacità di gestione dell’ansia

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

L’ansia, uno dei mali più drammatici della società contemporanea, è stret­tamente correlata allo stress. 

L’ansia è – nella nostra visione – il prodotto di un incremento di attivazione mentale (arousal) mixato ad emozioni negative (paura, angoscia, timore, apprensione). La sola attivazione mentale, di per se positiva, acquisisce nell’ansia sfumature negative e innesca un dialogo interiore tutto centrato sugli eventi negativi, producendo un “sequestro emotivo” della persona.

L’ansia può essere uno stato permanente o prodursi in relazione ad alcuni eventi scatenanti o trigger (eventi che l’individuo vede come problematici, es, parlare in pubblico, stare in situazioni pubbliche, o prendere un aereo, una galleria, o in ambiti sociali e nella vita di relazione).

Alcuni autori erroneamente espongono il concetto di “ansia positiva”, intesa come fonte di energie. In realtà è corretto trattare come fenomeno ipoteticamente positivo unicamente l’arousal (aumento dell’attivazione mentale), mentre l’ansia – espressa come un correlato tra attivazione ed emozioni negative – porta con sé numerosi rischi dal punto di vista psicoenergetico.

Capacità di gestione dell’ansia

Si distingue nella letteratura tra:

  • ansia di stato (collegata ed eventi specifici, es., prendere l’ascensore), e
  • ansia di tratto (componente ansiosa più permanente, insita nella personalità dell’individuo, con componenti che possono essere sia di derivazione genetica che apprese durante la vita).

Il training psicoenergetico adeguato consiste in diverse linee di attacco:

  • eliminare l’arousal connesso agli eventi scatenanti o trigger, tramite tecniche di rilassamento, refraiming cognitivo o ristrutturazione cognitiva; eliminare l’ansia situazionale nei contesti precisi in cui si presenta (es., prima di una lezione, prima di un discorso pubblico);
  • associare gli eventi scatenanti o trigger ad emozioni positive, con una ristrutturazione cognitiva profonda, es. trasformare l’ansia da lezione in gioia per l’essere protagonista di una relazione d’aiuto, gioia del dare e dell’aiutare il prossimo a capire o a crescere; questo richiede smontare la componente competitiva insita nella prestazione didattica (io contro loro) e sostituirla con la componente della relazione di aiuto (io per loro);
  • affrontare la componente ansiosa della personalità e quella appresa (ansia di tratto). Questo può richiedere di andare alla ricerca del disagio trans-generazionale (assorbimento di ansia dai genitori e altri referenti importanti nel passato della persona) e degli schemi mentali appresi che la producono e mantengono in vita. Quando sono stati appresi? Da chi? Come rimangono attivi? Quali relazioni personali e culturali la mantengono elevata? Quali abitudini dobbiamo sradicare? Quali inserire? Un lavoro profondo richiede anche la ricerca dei messaggi genitoriali o sociali assimilati che la alimentano (es.: devi riuscire a qualsiasi costo), delle credenze disfunzionali che vivono nella mente dell’individuo, e come virus mentali la danneggiano, dei prototipi cognitivi personali (relazioni tra valori, credenze, atteggiamenti) che la nutrono (es.: devi sempre essere perfetto altrimenti non vali).

Principio 4 – Ansia ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • si innesca nell’individuo attivazione (arousal) associata ad emozioni negative, rispetto a compiti, situazioni, aspetti della vita o dell’esperienza;
  • l’individuo possiede una componente elevata di ansia di tratto (ansia caratteriale) assimilata durante la crescita o alimentata da prototipi di pensiero e credenze disfunzionali,  da modelli di pensiero assorbiti dai genitori o dalla società non localizzati e schermati;
  • l’individuo subisce ansia situazionale, e non pratica attività di riduzione localizzata tramite tecniche di rilassamento o altre forme di training;
  • l’individuo non affronta il fenomeno della propria ansia di derivazione trans-generazionale (trasmissione del disagio psichico) in modo sistematico;
  • l’individuo non ricerca ed affronta i propri prototipi cognitivi disfunzionali (sistemi di pensiero) produttori di ansia e gli stili di vita che la alimentano.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’attivazione (arousal) per azioni o eventi viene ripulita dalle componenti emotive negative;
  • l’individuo riesce a localizzare e ridurre l’ansia di stato (ansia legata a task specifici e situazioni specifiche);
  • vengono svolti con successo interventi di riduzione dell’ansia di tratto (elemento ansioso della personalità, ansia caratteriale);
  • vengono localizzati e riconfigurati i prototipi di pensiero che alimentano l’ansia e il disagio psichico, anche di fonte traumatica, transgenerazionale o culturale;
  • vengono praticate attività costanti e programmatiche di riduzione dell’ansia, con un programma specifico seguito professionalmente, volto anche alla rivisitazione dello stile di vita.

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Raggiungere obiettivi

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Energie e capacità mettono le persone in grado di dirigersi verso i propri obiettivi o scopi, siano essi già inquadrati come progetti con un output preciso, o semplici idee ispiratrici, ancora non definite o ben focalizzate.

I tre grandi piani di lavoro (energie personali, competenze, obiettivi), sono variabili tecniche, ma dietro ad esse si trova uno sfondo umanistico enorme, dalle grandi implicazioni, che vogliamo esaminare. Ottenere risultati e tagliare i propri traguardi è un tema importante per l’individuo, per un gruppo (team sportivo, team aziendale), e per un’intera organizzazione o azienda, persino per una nazione o l’intera umanità.

La quantità di implicazioni psicologiche che si ritrovano dietro ai risultati, tuttavia, è impressionante. Solo chi li ha faticati in prima persona è consapevole dello sforzo, delle energie mentali e motivazionali spese per attività che apparivano, a prima vista, banali o puramente tecniche.
A volte non sono gli obiettivi ad essere difficili, ma le persone.

Ad esempio, la prestazione in un esame dipende sia dalla conoscenza della materia (aspetto tecnico) ma anche dalla capacità di gestire emozioni, ansia e attesa, essere comunicativi e mentalmente presenti (componente psicologica), e questa è ben più difficile da affrontare che non lo studio di una materia.

Anche nello sport, vincere una partita prevede la capacità di creare un team vincente, lavorare ai climi psicologici del gruppo, sostenere le individualità, creare uno spirito di squadra. Chi dimentica questo perde. Lo sanno bene le nazionali forti che possono subire sconfitte pesanti e umilianti anche da squadre di paesi semisconosciuti, se affrontano l’impe­gno con “sufficienza”, o si trovano nella condizione psicologica sbagliata, mentre gli avversari sono iper-motivati e affamati di vittoria.

Anche in azienda il fuoco della motivazione e della passione, e le qualità mentali, fanno la differenza: un progetto davvero innovativo prima si pensa, poi vi si investe. La qualità del pensiero viene prima. 

Raggiungere obiettivi

Una distinzione fondamentale consiste nel riconoscere che esiste una matrice di obiettivi, e questa parte da risultati molto focalizzati (micro-goal, come rimanere positivi nei vari momenti di un’attività, anche se impegnativa), passa per obiettivi più ampi (es.: gestire bene un progetto cui teniamo), sino a salire agli obiettivi esistenziali (Life Objectives), come il bisogno di vivere a pieno la vita, e la ricerca della felicità. In ciascuno di questi stadi vi sono catene da spezzare e cose da imparare.

Secondo questa visione, vivere pienamente significa ben più che esistere
Questo ha ripercussioni non piccole sul concetto stesso di performance e di potenziale umano. Come sostiene Oscar Wilde:

La cosa più difficile a questo mondo?
Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto. 

– oscar wilde –

Quindi, fissiamo immediatamente un concetto: si possono ottenere performance senza lavorare sul potenziale umano seriamente (es.: doping, o comprare un risultato) ma questo non ci interessa, non è il nostro fine. Anzi, questi pseudo-risultati sono il polo negativo, il male, le bugie, le false promesse, ciò da cui vogliamo stare lontani. 

Il lavoro che ci apprestiamo a fare infatti è quello allenante, preparatorio, formativo, costruttivo, il dare forma (Modeling) al potenziale e alle prestazioni tramite un lavoro serio, fatto di continuità, tecnica, strategia, sudore.

Due elementi fondamentali di una prestazione umana sono: (1) gli scopi (obiettivi) e (2) il loro grado di raggiungimento (nullo, intermedio, totale). 

Rispetto agli scopi, ci concentriamo soprattutto su quelle prestazioni o performance che hanno un senso di contributo, diliberazione, di espressione, di emancipazione. In altre parole, le prestazioni non solo meccaniche.

Rispetto al grado di raggiungimento, consideriamo che esso sia una funzione strettamente dipendente dal tipo di potenziale raggiunto (dalla persona, dal team, dall’organizzazione), e che per l’eccellenza bisogna lavorare sulla crescita strutturale più che sui risultati immediati. È la nostra visione.

È più importante insegnare ad un atleta a gestirsi, a non bruciarsi, ad avere una carriera e una vita, a trovare equilibri, che non spremerlo e gettarlo per una singola gara o stagione. 

Lo stesso per avere manager e professionisti preparati in azienda: stiamo o no creando un sistema che li formi, una palestra di formazione aziendale? Se non abbiamo un programma serio in merito, non lamentiamoci se dovremo richiamare i pensionati. In ogni squadra seria si coltiva un vivaio e un settore giovanile, e questo vale anche in azienda. Molti vogliono risultati senza investire, e spremono l’azienda, ma non fanno crescere le persone.

Ancora una volta, vogliamo lavorare alle condizioni che permettono di ottenere i risultati quando li desideriamo, senza attendere manna dal cielo o la fortuna. Il nostro approccio considera le performance vere non solo come atti tecnici, ma espressioni di libertà, applicazioni di una volontà emancipata di andare oltre, di scegliere (Free Will), un concetto che sta entrando finalmente nella letteratura anche manageriale:

La libera volontà è l’abilità di un agente di selezionare un’opzione (comportamento, oggetto, etc.) da una serie di alternative[1]. Lo spirito di fondo è sempre quello di un messaggio positivo, ciò che un padre vuole trasmettere ad una figlia, o figlio, o al prossimo, rispetto alle energie e alla vita: ogni volta che ti svegli, pensa positivamente a cosa fare di buono oggi. Ogni volta che vai a dormire, rivedi le cose buone accadute, sensazioni positive che avresti dato per scontato. Poi, pensa a cosa ti piacerebbe fare di buono domani, cosa ti renderà felice, che contributo puoi dare a te e agli altri, in cosa puoi applicarti bene. Fai cose che ti daranno energie, riduci quelle che ti impoveriranno spiritualmente e fisicamente. 

Non lasciarti spegnere. Ogni volta che sei triste chiediti se la tristezza ti merita o se puoi dirottare le tue energie verso qualcosa di positivo. 
Ogni volta che guardi avanti cerca il bene, e quando ti guarderai indietro sarai orgogliosa di te. Questo è rendere omaggio al dono di esistere. 

Agire, provarci, in modo da potersi guardare indietro con senso dell’onore, è luce, un bisogno che traspare in ogni storia vera, in ogni cultura umanistica e spirituale, come si intravede bene in questa testimonianza dagli Indiani d’America:

“Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,
il cui respiro dà vita a tutte le cose.
Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,
lasciami camminare nella bellezza,
e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.
Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma 
e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.
Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.
Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.
Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.
Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.
Aiutami a trovare la compassione 
senza la opprimente contemplazione di me stesso.
Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,
ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso. 
Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.
Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,
il mio spirito possa venire a te senza vergogna”.

Preghiera per il Grande Spirito, 
Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871-1967)


[1] Mick, D. Glen (2008), Degrees of Freedom of Will: An Essential Endless Question in Consumer BehaviorJournal of Consumer Psychology, 18 (1), 17-21.

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Fragilità emotiva e stress emotivo

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

La fragilità emotiva viene individuata nei test specifici di Caprara, Perugini, Barbaranelli e Pastorelli come congiunzione di due tratti: 

la scala risulta dall‘integrazione di due scale, quella di Suscettibilità Emotiva, che misura la propensione dell’individuo a porsi in una posizione di difesa, a sperimentare stati di disagio, di inadeguatezza e di vulnerabilità in situazioni, presunte o reali, di pericolo, di offesa e di attacco, e quella di Persecutorietà, che osserva la tendenza dell’individuo a sperimentare sentimenti vissuti di persecuzione e tensione, legati all’anticipazione o alla paura di una punizione incombente[1].

Altri studiosi danno della fragilità emotiva visioni diverse e utilizzano scale e costrutti diversi per misurarla. 

Per noi, ciò che conta è riuscire a toccare con mano il problema, aiutare con un coaching professionale le persone a superare le proprie fragilità emotive e andare verso il loro futuro con maggiore serenità e gioia. 

Fragilità emotiva e stress emotivo

Stare lontani dalle proprie paure è inizialmente saggio ma riduce progressivamente il proprio territorio di vita. Nel lungo periodo non è sostenibile. 

Correre incontro alle proprie paure è invece un atteggiamento stupendo, un’acquisizione esistenziale, un traguardo in sè, un atteggiamento che può essere conquistato con un training e supporto adeguato. Ma non nascondiamo la realtà: è più facile da dire che da fare. Verissimo. Sacrosanto. Ma non sufficiente a fermarci.

Correre verso le nostre paure non è impossibile. Milioni di persone riescono a superare le proprie paure e fragilità e chiunque di noi ha il potenziale per farlo. Occorre solo farlo emergere, trovare un supporto, avere un metodo, e con impegno e dedizione diventa fattibile.


[1] Caprara, G. V., Perugini, M., Barbaranelli, C., Pastorelli, C. (2008), Scala per la misura della Fragilità Emotiva, Giunti O.S., Firenze.

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Dare il meglio di sé

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Chi si occupa di potenziale umano e di performance con fini professionali ha in mente sicuramente traguardi veri e forti di miglioramento, per sé e gli altri. Se così non fosse saremmo veramente fuori strada. Chi svolge questo tipo di missione con fare burocratico o apatico ne stravolge realmente il senso.

Ne deforma il senso anche chi confonde le performance di superficie (più eclatanti ed evidenti) con le performance profonde (crescita personale, evoluzione spirituale), e investe solo sule prime e poco sulle ultime.

Facciamo un esempio pratico rispetto al coaching educativo e al ruolo di un learning coach. Far sì che un ragazzo/a dia il meglio di sé nella scuola o università è il motore morale corretto, e soprattutto che trovi equilibrio tra studio e attività fisica, senza scompensi che lo danneggino nel lungo termine. Essere i primi della classe ma non amare lo studio è pura distorsione.

Le società iper-competitive che premiano solo chi arriva in alto, chi primeggia, i vincenti forzati , creano mostri. Confondono il contributo con la posizione. La domanda che qualcuno, al termine dei nostri giorni, dovrebbe porci, non è “dove sei arrivato”, ma “a cosa hai contribuito veramente”?

Questo è un nuovo metro di misura da adottare. Per un manager, per un trainer, per un politico, per un ricercatore, e per ogni essere vivente, vivere a pieno non significa “smarcare” le proprie giornate arrivando a sera in qualche modo. Significa assumersi in pieno il ruolo di “contributori”.

Dare il meglio di sé

Dare il meglio di sè non equivale a primeggiare. Significa invece essere parte di un ideale, e concretizzarlo in piccoli cambiamenti di atteggiamento. 

Nello studio, non sarà il singolo voto a contare, ma l’avvio di un nuovo atteggiamento di amore verso lo studio o verso una materia. Sarà un nuovo senso di sfida positiva, o il piacere dell’apprendere, a dirci se siamo o meno sulla strada giusta. Ancora una volta: dare il meglio di sé non è studiare per il singolo voto ma studiare per apprendere. 

La pura performance (il voto), è secondaria, è una cartina di tornasole di cosa succede dentro, ma non è il dentro, e, addirittura, se fosse regalato o frutto di copiatura non ci direbbe niente sullo stato di avanzamento della persona. Proponiamo questa libera riflessione di Madre Teresa di Calcutta, come stimolo di riflessione, aperto sia a critiche che apprezzamenti:

Il meglio di te

L’uomo è irragionevole,
illogico, egocentrico:
non importa, amalo.


Se fai il bene,
diranno che lo fai
per secondi fini egoistici:
non importa, fa’ il bene.


Se realizzi i tuoi obiettivi,
incontrerai chi ti ostacola:
non importa, realizzali.


Il bene che fai
forse domani verrà dimenticato:
non importa, fa’ il bene.


L’onestà e la sincerità
ti rendono vulnerabile:
non importa, sii onesto e sincero.


Quello che hai costruito
può essere distrutto:
non importa, costruisci.


La gente che hai aiutato,
forse non te ne sarà grata:
non importa, aiutala.


Dà al mondo il meglio di te,
e forse sarai preso a pedate:
non importa, dà il meglio di te.

Queste parole non sono vuote, possono essere concretizzate.
Coach e formatori impegnati e seri lavorano per rendere concreta l’espressione di sé e dei potenziali. 

Un coaching analitico ricerca la crescita della persona e non la crescita di un lato della persona a scapito dell’equilibrio complessivo. Spremere un frutto e gettarlo non è il nostro fine. Il nostro fine è coltivare la pianta.

Dare il meglio non significa bruciare se stessi o gli altri, spremersi sino a distruggersi. Anche in un coaching sportivo vale lo stesso principio. Operare per rendere un atleta una persona d’onore, seria, impegnata, continuativa, deve essere il motore psicologico di un coach sportivo. Vincere una stagione e bruciarla per il resto della vita non è coaching, è uccidere la persona.

Lo stesso nel TeamCoaching. Fare di una squadra un gruppo con dei valori e degli ideali, un gruppo che quando va in campo dà il meglio di sé, un gruppo che vuole esprimersi ed essere sempre orgoglioso di come ha giocato e dello spirito che ha, è lo scopo di uno team-coach

Stesso discorso sul piano aziendale. Un coach aziendale, un formatore o consulente serio, puntano alla realizzazione delle potenzialità (nel coaching manageriale). O, nel lavoro sulla leadership, avremo successo quando un leader smette di fingere a se stesso e agli altri, procede verso una direzione di autenticità e maturità prima di tutto come persona. 

Nella consulenza, avremo obiettivi diversi, come il trovare nuovi equilibri solidi, e non necessariamente aumenti di fatturato “di facciata”, se possono nascondere drammatiche crisi di solidità aziendale vera. 

Ed ancora, un formatore aziendale non è felice solo per come finisce la giornata formativa, ma per lo spirito che lo anima, e con cui entra: si entra nell’aula con anima combattiva (o missionaria), voglia di incidere, creare pensiero e crescita. Questo significa aiutare il gruppo che ha davanti a sè a riflettere su come pensa e come lavora, fargli fare esperienze impattanti ma soprattutto utili, portargli stimoli e concetti che allargheranno il loro patrimonio professionale o ne rimuovano incrostazioni. 

Un trainer serio non si accontenta di “smarcare” una giornata, dire o fare qualsiasi cosa faccia divertire il pubblico e gli dia punteggi elevati sulle “valutazioni” di fine corso. 

Per far emergere il meglio delle persone bisogna anche essere disposti ad andare controcorrente, a rischiare, a difendere un concetto in cui crede.

Un ulteriore commento: dare il meglio di sé è un atteggiamento che si può apprendere, è stimolabile e generabile tramite un buon modeling, e fare da esempio agli altri, ove possibile, è una nostra precisa responsabilità.

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Energie mentali e umore, le nuove competenze (mood awareness, mood labeling, mood monitoring, cognitive la-beling)

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.

Jacques Prévert

L’umore è uno degli elementi più esplicitamente correlati alle energie mentali, e dalle forti capacità “contagiose”, in bene e in male. Un umore è una condizione emotiva di maggiore durata rispetto al­l’emozione istantanea, e meno collegata ad un singolo evento scatenante.

I tipi di personalità sono invece tratti più duraturi che predispongono a tipi di umore specifici. Lottare contro l’eredità umorale appresa è una sfida nobile.

Secondo Thayer, l’umore è un prodotto di due dimensioni, l’energia e la tensione[1].
Gli umori positivi avvengono in zone di energie elevate e stato di calma, mentre ci sentiamo peggio quando siamo in condizione di basse energie fisiche accompagnate a tensione emotiva.

Bassi livelli di energie mentali sono in genere accompagnati da condizioni umorali negative, tristezza, depressione, mentre alti livelli sono accompagnati da stati positivi, dal rilassamento sino alla gioia e all’euforia.

Ciò che ci interessa maggiormente in termini di coaching analitico è il concetto di mood awareness[2], la consapevolezza dello stato umorale, una capacità specifica ed allenabile, composta da mood labeling (saper etichettare lo stato emotivo in corso) e mood monitoring (saper monitorare l’anda­mento del proprio umore, coscientemente, tener traccia delle variazioni). 

Energie mentali e umore, le nuove competenze (mood awareness, mood labeling, mood monitoring, cognitive la-beling)

Il labeling, in particolare, rappresenta il ponte essenziale tra il sentimento interno e la possibilità di comunicarlo. 

Comunicare ad altri come ci si sente è importantissimo, ed è tema di cui si occupano molte ricerche, che giungono a inquadrare il concetto di empatia interna[3], o la capacità di capirsi. Questa dipende anche dalla capacità di trovare etichette (verbali) per gli stati cognitivi e per i sentimenti vissuti. 

Conoscere i propri stati e non negarli è essenziale, ma poi serve la capacità di descriverli e – soprattutto –  l’occasione fisica, vera, di parlarne a qualcuno che ci ascolti.  Trovare oggi chi sia in grado da farci da contenitore emotivo è qualcosa di estremamente raro, ma non è su questo che mi voglio soffermare ora. Il fattore tecnico è che anche quando questa occasione di ascolto accade, non siamo sufficientemente capaci di esprimere i nostri veri sentimenti con precisione. Di questo ogni coach, leader o psicologo dovrebbe tenere conto.

Più in generale, la capacità di riuscire a dare nome e descrizione ai processi mentali in corso (cognitive labeling skills) permette di crescere psicologicamente. Infatti, non è per nulla scontato sapere come ci si sente, riuscire a riflettervi sopra analiticamente, o riuscire a comunicarlo, prima che gli umori diventino distruttivi. Molti subiscono lo stato umorale passivamente, o non riescono a condividerlo, o essere ascoltati, e in questo modo non arrivano a scardinare i meccanismi che lo generano, o replicare stati positivi.

Le energie mentali producono specifici stati umorali. Nella fig. 2 vediamo diverse tipologie.

Energie mentali e umore, le nuove competenze (mood awareness, mood labeling, mood monitoring, cognitive la-beling)
Grafico riprodotto con modifiche da: Dossier speciale a cura di Amelia Beltramini, in Focus, Aprile 2004.
Il grafico originario non presenta la riproduzione delle linee relative agli assi.

La domanda primaria rispetto allo schema evidenziato è “come ti senti?” L’attività di scavo deve riguardare invece il “perché ti senti così?”

All’interno delle risposte devono essere notati e scoperti i meccanismi di ragionamento che depotenziano e corrodono l’umore, le azioni e stili di vita che avvizziscono la persona, gli stili cognitivi disfunzionali, le aree su cui lavorare, e tutte le azioni invece positive da consolidare e rinforzare.

La psicoenergetica nel metodo HPM si occupa dei fattori psicologici che producono tali stati soggettivi o livelli di umore. In questo lavoro, non è possibile astenersi dal giudizio, non è possibile evitare di applicare valori e criteri di riferimento personali. 

In questo, il coaching differenzia sostanzialmente dalla psicoterapia non direttiva, in quanto arriva a dare giudizi di valore e indicare strade da perseguire.

Così come il grounding bioenergetico costituisce la base fisica su cui poggia la prestazione, il grounding psicoenergetico crea il fondamento delle energie psicologiche, dando corpo alla volontà, al senso di potercela fare, alla voglia di andare avanti. Ogni atto di volontà richiede una carica interiore.


[1] Thayer, R. E. (1989), The biopsychology of mood and arousal, Oxford University Press, New York, NY.,

R. E. (1996), The origin of everyday moods: Managing energy, tension and stress, Oxford University Press, New York, NY. 

Thayer, R. E. (2001), Calm Energy, Oxford University Press, New York, NY.

[2] Woodhouse, S. S., Gelso, C.J. (2008), Volunteer Client Adult Attachment, Memory for In-Session Emotion, and Mood Awareness: An Affect Regulation Perspective, Journal of Counseling Psychology, v. 55, n. 2, pp. 197-208, Apr.

[3] Jackson, E. (1986), Internal Empathy, Cognitive Labeling, and Demonstrated Empathy, Journal of Humanistic Education and Development, v. 24, n. 3, pp. 104-115, Mar.

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Andare oltre l’eredità mentale, e amplificare l’espressività

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Esprimersi è importante. In letteratura si distingue un’espressività positiva (generativa di idee e progetti) e un’espressività negativa (poter manifestare stati di disagio, lasciare fuoriuscire le emozioni negative), su cui il patrimonio mentale ricevuto dai genitori ha notevole effetto (Kolak & Volling)[1].

Esiste quindi uno sfondo importante del potenziale personale, il Modeling familiare e sociale: esempi, pensieri,  modelli comportamentali e mentali cui siamo stati esposti ci fanno da sfondo e agiscono spesso a nostra insaputa. Tutti subiamo in qualche misura un imprinting psicologico (modellamento precoce al quale siamo stati esposti nella crescita).

In questo substrato si trovano apprendimenti positivi e negativi.

Prendere coscienza di cosa di buono abbiamo assimilato nella nostra crescita (risorse attive), di cosa invece non abbiamo assimilato (risorse assenti), e dei modelli sbagliati appresi, i modelli che ci danneggiano, la spazzatura mentale che ci circola dentro, è un’operazione eccezionale. 

Se potessimo passare al setaccio ogni nostra debolezza, timore, paura, insuccesso, riusciremmo ad arrivare alla radice delle credenze “tossiche” per il nostro sistema, le idee acquisite che ci appartengono ma ci danneggiano. Ogni singola credenza dannosa che ci assedia da dentro è come un sasso nel nostro motore. Rompe gli ingranaggi, inceppa, arresta, frena, distrugge. 

Es: la credenza “devo sempre essere il massimo in ogni campo, sempre” a lungo termine sviluppa ansia, manie, depressione, tensione permanente e corrosiva. La sua impossibilità materiale di concretizzarsi genera frustrazione continua, e non solo stimolo positivo. Se lo portiamo dentro, da dove viene? Quando l’abbiamo imparato? Da chi? 

O ancora: “la fortuna dipende solo dal destino: puoi fare ciò che vuoi, ma tanto tutto è già scritto”, produce disimpegno verso lo studio e l’imprenditorialità, genera lassismo e pressapochismo. Se tutto è già scritto, a cosa serve impegnarsi per qualcosa? Da dove viene questa spazzatura? Quando e da chi è stata appresa?

Oppure immaginiamo quanto la credenza “devi farcela da solo, se chiedi sei un debole” possa impedire ad un leader di apprendere a delegare correttamente, o invece produrre un accentratore incapace di gestire davvero un team, o di fidarsi nel assegnare un obiettivo.

Un caso ancora: il problema dell’utilizzare larga parte del proprio tempo libero a guardare programmi stupidi in televisione anziché dedicarlo alla propria crescita o a contenuti attivi. Da dove viene? Dove lo abbiamo appreso?

Andare oltre l’eredità mentale, e amplificare l’espressività

Al Modeling sociale precoce, che non è frutto di una scelta o libero arbitrio, il sistema HPM vuole aggiungere un modeling diverso, frutto di una decisione della persona, un atto di coraggio, un grido di emancipazione.

Si tratta di una scelta di come e dove utilizzare il proprio tempo positivamente, di quali credenze liberarsi, di quale “cultura” nutrirsi invece di “digerire” a forza ciò che il sistema culturale dominante a ha sinora passato.

HPM lavora soprattutto come metodo di sviluppo nel quale la persona possa valutare la propria situazione in termini di energie, smontare alcune delle “celle” del proprio sistema, capire come radicarsi, e poi procedere in avanti: essere protagonista del proprio sviluppo. Lavora inoltre come sistema di riferimento per i coach e trainer che vogliono assistere le persone e le imprese in questo viaggio.

Che si usi come sistema di analisi della persona la piramide HPM, o altri sistemi più classici  – come la tassonomia di Bloom centrata sui “saperi”, “saper essere”, e “saper fare”[2] – l’essenziale è localizzare in quale direzione sono possibili avanzamenti, e dove agire. Trovato un buon livello di ancoraggio, o grounding (radicamento), è possibile per ogni persona osare oltre, dare spazio alla propria espressività. 

È decisamente vero, quindi, che l’espressività è un tratto in parte appreso, e riceviamo in eredità un dono (se presente, forte, ben accessibile) o un handicap sociale (se inibita, castrata, amputata).

In particolare la figura paterna ha un ruolo leggermente prevalente nell’esprimersi in progetti costruttivi (espressività positiva), mentre la figura materna ha un ruolo leggermente prevalente nel fare da contenitore emotivo, insegnando l’espressività negativa, cioè la nostra capacità di liberare le emozioni negative e non trattenerle dentro a macerare[3]

Se il patrimonio genitoriale o culturale non è così fortunato, cosa si dovrebbe fare? Arrendersi? Non è il nostro progetto. E se invece fosse magnificamente fortunato, perché non chiedersi cosa possiamo noi conquistare ancora, al di là di quello che abbiamo ricevuto? E come praticare una self-contribution, o contributo autonomo, invece di adagiarsi su quanto ricevuto da altri? Ciò che si conquista vale sempre più di ciò che si riceve gratis.

Riuscire ad esprimersi in progetti, in risultati, nello sport, nel lavoro, nella leadership, o nel comunicare, è qualcosa che si può decidere di apprendere, non è solo questione di genetica o di fortuna. Nella nostra visione, dobbiamo concentrarci su quello che possiamo fare, e non solo sui limiti. Esistono sfere della vita che sono in nostro potere, zone di obiettivi su cui si può intervenire. Non farlo è sprecare la vita.

Fare focusing (focalizzare e ri-focalizzare), in questo caso, significa prendere coscienza di nuovi traguardi, fare luce su cosa sia vero e falso, esaminare la quantità di bugie e abbagli annidate nelle presunte sfere di impossibilità e possibilità, fare un bilancio, dirigersi verso nuovi orizzonti.


[1] Kolak, Amy M., Volling, Brenda L. (2007), Parental Expressiveness as a Moderator of Coparenting and Marital Relationship Quality, Family Relations, v. 56, n. 5, pp. 467-478, Dec.

[2] Bloom Benjamin, S., Krathwohl, David R. (1956), Taxonomy of Educational Objectives. The Classification of Educational Goals, by a committee of college and university examiners. Handbook I: Cognitive Domain, New York, Longmans, Green.

[3] Wong, Maria S., Diener, Marissa L., Isabella, Russell A. (2008), Parents’ Emotion Related Beliefs and Behaviors and Child Grade: Associations with Children’s Perceptions of Peer Competence, Journal of Applied Developmental Psychology, v. 29, n. 3, pp. 175-186, May-Jun.


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Amore per…


Questo articolo parla dell’amore e della passione.
L’amore e la passione sono strettamente collegati a quella voce che risiede dentro ognuno di noi, che ci sussurra di trovare il nostro scopo, che ci indirizza in qualche modo verso la nostra chiamata di auto-realizzazione.

E’ quel qualcosa che ci spinge a vivere la nostra vita quotidiana con entusiasmo, che ci fa navigare attraverso ogni difficoltà, che ci motiva a pensare, a immaginare, a fare, a creare, permettendoci di entrare in quello spazio in cui possiamo condividere chi siamo e ciò che abbiamo. Quando ci muoviamo da quello spazio qualsiasi evento acquista ai nostri occhi un valore inestimabile e riusciamo a sentirci incredibilmente “vivi”.

Riflessioni sul Metodo di Coaching HPM, dal testo Psicologia della libertà” Copyright Edizioni Mediterranee e Dott. Daniele Trevisani

L’amore e la passione
sono i motori più forti della vita.

Quando sei giù, se guardi bene, c’è qualcosa che ha a che fare con una perdita di passione.
La passione può toccare qualsiasi cosa: una persona, un ideale, un progetto, persino un oggetto, come una moto, o un fatto, o un’attività come il dipingere o suonare o fare sport. Quando qualcosa ti appassiona veramente, senti di essere vivo e nulla pare remare contro. Anche le performance più profonde e i progetti richiedono amore e passione.

Per amore si intende un sentimento forte e universale di unione, che può toccare il vissuto sentimentale di un uomo o di una donna, ma anche il rapporto genitore e figlio, amicizie fortissime, e persino un ideale, un oggetto o una produzione, o la natura. Esempio: l’amore per un paesaggio e l’estasi che produce. Il senso di connessione profonda che riesci a provare ti fa vedere la vita in chiave positiva. Questo è il sentimento di essere parte di qualcosa di più grande e di più importante della tua persona. Qualsiasi forma di intelligenza, prima o poi, per essere viva, deve sviluppare la capacità di provare sentimenti.

Amore per...


Esiste una sterminata e interessantissima letteratura su ogni tipo di sfera inerente la psicologia dell’amore: ad esempio, cosa significa per una persona il primo amore e quando avviene nel tempo e in diverse culture. [1]

L’approccio allo studio dell’amore avviene in numerose discipline: si studia l’amore come fenomeno in psicologia, sociologia, antropologia, zoologia, religione, letteratura. Nelle scienze della comunicazione viene studiato il linguaggio dell’amore o la comunicazione seduttiva. In chimica, biologia, in campo medico e neurologico, l’amore viene addirittura analizzato per scoprire i meccanismi biochimici ed elettrici che avvengono nel “cervello che ama”.

In sede di Coaching analitico non sono tanto i meccanismi chimici a interessare l’impostazione del lavoro, quanto i meccanismi affettivi, il loro risveglio, la loro canalizzazione verso obiettivi importanti. Obiettivi che accendono la passione delle persone e le riempiono la vita.
Se non si ama ciò che si fa, le performance non accadono, o se avvengono, non sono atti di espressione, ma costrizioni, risultati destinati a durare poco.

Individuare concetti da amare, risultati da ottenere, localizzarli bene, significa iniziare a dare forma a vaghe rappresentazioni mentali.
Localizzare per cosa vivere è uno dei lavori di coaching e di formazione più importanti: far scoprire concetti, amarli e farli scoprire agli altri.

Questo può significare fare scouting (scovare nuovi orizzonti per il e con il soggetto, accompagnarlo in questa delicata operazione), ma anche fare archeologia umanistica, andare a trovare ciò che la persona era, riscoprire passioni, ambizioni, aspirazioni, amori per… progetti abbandonati, sogni giovanili o di altri stadi di vita, qualcosa che è stato sepolto dal self-silencing (il meccanismo, che si estende a ogni ambito della vita dell’individuo, di auto-silenziamento dei propri bisogni profondi e delle proprie aspirazioni.

Questi dati a volte confusi sono localizzati nel passato del soggetto, e questo è un altro forte motivo per non fuggire all’analisi del passato in operazioni di coaching analitico.
Uno dei meccanismi più forti notati nella psicologia dell’amore è proprio il self-silencing, mettere il silenziatore alle proprie passioni. E’ un fenomeno esaminato nel campo delle relazioni amorose romantiche, ma la sua validità, come variabile da analizzare, si estende in ogni ambito umano, soprattutto alle ambizioni personali che la persona ha “silenziato”.

Nell’HPM [1] si pratica una tecnica specifica denominata Scouting affettivo, per indicare l’attività di scavo alla ricerca di quel “fuoco” che alimenta le passioni di un individuo.
Quali sono ora? Quali erano in passato? Quanto sono sopite o attive? Quanto la persona è “spenta” o “accesa”, morta o attiva, sul piano delle passioni? A quante passioni, idee e aspirazioni è stato messo il silenziatore, e cosa ne è rimasto? E, soprattutto, cosa può produrre passione per il futuro?

Il senso di un coaching è produrre e alimentare amore verso… amore per… amore per se stessi, per un’azione terapeutica di autostima, amore verso una causa, amore verso un progetto.

[1] Vedi Diederik F. Janssen, “First Love: A Case Study in Quantitative Appropriation of Social Concepts”, in Qualitative Report, v. 13, n. 2, June 2008, p. 178-203.

[2] Il Metodo HPM™ (Human Performance & Potential Modeling) – vedi “Il Potenziale Umano: Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” del Dott. Daniele Trevisani – Ed. FrancoAngeli.

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Progetto a cura di:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Sacralità e tecnica dell’emancipazione: togliere i sassi dallo zaino

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Esiste un momento sacro nella vita, in cui una persona decide se vuole o meno correre, o stare sul divano, o magari alternare le due cose, e se corre, vuole imparare ad accorgersi se ha o meno uno zaino sulle spalle, decide di guardarvi dentro. Può fare male, ma è un dolore che produce crescita.

Chi lo fa, si impegna per individuare i sassi e zavorre e distinguerli dalle cose buone, e lavora per iniziare a buttare fuori sassolini e macigni, liberarsi dalle zavorre, alleggerirsi, e correre più libero. 
Questo momento è sacro, ma ad oggi nessuna istituzione lo promuove, anzi, è decisamente temuto. I liberi pensatori hanno sempre fatto paura.
Le performance sono forme di pensiero pratico e voglia di vivere in azione.

Esiste una vera sacralità dell’esistenza,
come recita un capo Indiano:
Nascere uomo su questa terra è un incarico sacro.
Abbiamo una responsabilità sacra,
dovuta a questo dono eccezionale che ci è stato fatto,
ben al di sopra del dono meraviglioso
che è la vita delle piante, dei pesci, dei boschi, 
degli uccelli e di tutte le creature che vivono sulla terra…

(Shenandoah Onondag)[1]

Ognuno di noi ha ricevuto un’eredità mentale e genetica da chi lo ha preceduto, un patrimonio di risorse, per alcuni ricco e pieno di frutti, per altri disastrato e pieno di debiti non pagati, con la quale fare i conti. Di questo non abbiamo né colpe né meriti, è il nostro punto di partenza.

Da questo punto in avanti, tuttavia, si avvia la responsabilità della persona nel compiere suoi progressi, tentativi anche piccoli, una responsabilità potente e individuale del volere realizzare se stessi, provare a farlo, o progredire per quanto sia possibile, senza accettare la stasi o la passività (passività da non confondere invece con capacità di rilassamento, un tratto invece positivo). 

E quando parliamo di potenziale umano o espressività, non esiste punto di arrivo o traguardo finale. Si tratta di un atteggiamento costante di amore per la vita e per la ricerca. La scienza è un’amica importante, perché dimostra che esistono possibilità enormi di emancipazione umana e crescita del potenziale personale. Una grande quantità di studi provano che è possibile mettere mano attivamente alla propria espressività e alle abilità, sia generali che specifiche. Ma per farlo occorre volontà e lavoro allenante. 

Sacralità e tecnica dell’emancipazione: togliere i sassi dallo zaino

Lo studio autonomo o di gruppo, la crescita voluta, le esperienze, ma anche il lavoro allenante, formativo, di coaching, di counseling, di training, sono forme per alimentare le nostre ali per volare. Amplificare il potenziale umano significa dare ali a chi non le ha, e aiutare le persone che già volano a volare ancora più in alto.
Con le tecniche giuste, anche persone con handicap hanno potuto amplificare la propria espressività, nel caso specifico l’espressività comunicativa, grazie al ricorso a training particolari basati su tecniche efficaci. 

Ad esempio, se parliamo di comunicazione verbale, il prosodic modeling[3] – tecnica che allena la persona a gestire meglio il parlato, il ritmo e intonazione, la buona scansione delle sillabe – migliora la capacità di esprimersi bene, di generare frasi compiute e comprensibili, e ha prodotto effetti scientificamente dimostrati. Il miglioramento è un fatto concreto e possibile. 

Ed ancora, è scientificamente dimostrato che le tecniche teatrali nelle loro varie forme (incluso il role-playing, lo psicodrammale simulazioni) possono essere usate con successo nella formazione in azienda, e anche per aumentare l’espressività di ragazzi con problemi, con risultati tangibili, reali, forti. 

Gli studi dimostrano efficacia su variabili determinanti dell’espressività, quali listening skills (capacità di ascolto), eye contact(gestione del contatto visivo), body awareness (consapevolezza corporea), coordinamento fisico, espressività facciale e verbale, focalizzazione e concentrazione, flessibilità mentale e problem solving skills, capacità di interazione sociale, ma anche tratti psicologici quali la self esteem (autostima)[3].
Sono ambiti localizzati, dettagli di un puzzle di crescita, ma sono avanzamenti possibili e mostrano una via, una possibilità reale.

Questo per noi significa tanto: le persone possono andare oltre la posizione di partenza ereditata e oltre lo stato in cui si trovano, qualsiasi esso sia:
(1) problematico o patologico,
(2) normale o mediano,
(3) eccellente o agonistico.

Sicuramente chi si impegna in programmi di sviluppo, su qualsiasi stadio di partenza, sta facendo uno sforzo intenzionale per andare oltre l’eredità ricevuta, e ha un merito. Lo ha anche chi li supporta, i coach, trainer o terapeuti che vi si impegnano. Lo hanno anche i leader se e quando nelle imprese fanno crescere le persone. I leader sono coloro che sviluppano le persone e non solo risultati. Espressività è liberazione di sé, energia, possibilità di emancipazione, dare aiuto e contributi agli altri e ai loro sogni, così come ai nostri. 

Le performance e l’apprendimento sono atti di espressività che non arrivano ad un punto per poi fermarsi, sono piuttosto momenti di azione, seguiti da altri di riflessione, ricarica, e poi ancora ricerca di altre zone di espressività e altre crescite, altri progetti positivi, e ancora riposo, contributi, espressione, in un susseguirsi di “respiro vitale”, un battito di vita profondo e potente.

Ci si può esprimere in una poesia, in una corsa, in un progetto aziendale. Ci si può esprimere aiutando il prossimo, nel volontariato, o in una ricerca spirituale.Ci si può esprimere nel raccontare con vividezza un racconto o una favola ad un bambino. Non è necessario far soldi o vincere le olimpiadi per esprimersi.
Ci si può esprimere nelle professioni, nel lavoro, nell’impresa, ma diventare ricchi non è sempre sintomo di successo vero, anzi, persone che hanno raggiunto obiettivi spirituali, come Gesù, San Francesco, i monaci buddisti, e altri illuminati, hanno deciso che il loro metro di misura fosse altro

È questa la vera emancipazione: decidere quale sia il nostro metro di misura senza ingoiarlo a forza da altri, non assorbirlo passivamente e impregnarsi da quanto certa società vorrebbe a forza, il consumismo, l’esaspe­razione, il comportamento “produci-consuma-muori”.

Ma, quello che conta ai fini formativi, è che – qualsiasi sia il target o l’obiettivo – l’espressività sia percepita come fattore altamente “lavorabile”, così come lo è, più in generale, ogni ambito della crescita e del potenziale umano.


[1] Audrey Shenandoah (1995), Nascere uomo, in Il Grande Spirito parla al nostro cuore, Red Edizioni, Milano.

[2] Young, Arlene R.  et al. (1996), Effects of Prosodic Modeling and Repeated Reading on Poor Readers’ Fluency and Comprehension, Applied Psycholinguistics, v. 17, n. 1, pp. 59-84, Mar.

[3] Bailey, S.D. (1993), Wings To Fly: Bringing Theatre Arts to Students with Special Needs, Woodbine House, Rockville.


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